BENESSERE

In Italia si abusa di farmaci di tutti i tipi. Con effetti pericolosi sulla salute. Crescono le dipendenze e i danni psicologici sono profondi. Ci si abitua all'idea che corpo e anima siano pezzi di una macchina. E non si ascoltano più i loro segnali.

Quando si ottiene qualcosa con troppa facilità, si finisce per diventarne dipendenti. E' quel che accade con le medicine. La possibilità sempre maggiore di fai-da-te fa sì che molti sviluppino una dipendenza fisica, quanto psicologica: un atteggiamento passivo per il quale, di fronte a qualsiasi sintomo o malessere, dolore o doloretto anche minimo, si ricorre all'assunzione di un farmaco, senza neanche consultare il medico, oppure si corre dal medico stesso e gli si fa pressione per averne in cambio la prescrizione di qualcosa che possa alleviare al più presto anche il più piccolo disagio, fisico o psichico che sia.

L'illusione di curarsi.
La persona non vuole soffrire, neanche un po'. Non vuole fermarsi, non vuole andare in ansia. E allora prova a schiacciare ogni sintomo. Ma è un atteggiamento errato. Lo è non consultare il medico, così come il manipolarlo (esagerando il sintomo) per convincerlo a "sganciare" il farmaco, perchè si rischia di assumere qualcosa che potrebbe risultare dannoso.

Inoltre la soppressione immediata dei sintomi può peggiorare la situazione, perchè impedisce sia alla persona che al medico di capire come stanno le cose: i tempi della diagnosi e di una cura risolutiva si allungano, e aumenta anche la possibilità che il problema diventi cronico.

I farmaci più abusati sono infatti in genere i sintomatici (antidolorifici, antifebbrili, antinfiammatori, antidepressivi, ansiolitici, sonniferi, antispastici), che non tolgono la causa, ma agiscono sul sintomo. E che comunque, usati in questo modo, non possono dare un pieno contributo.

La trascuratezza di sè.
Ma oltre a ciò, vi sono anche rischi di tipo psicologico ed essenziale. L'abitudine a ricorrere subito ai farmaci, infatti, rivela una tendenza a non voler comprendere i propri stati d'animo e le emozioni profonde; ad essere soltanto funzionali e riproduttivi; a non riconoscere e a non rispettare le proprie vere esigenze.

In breve: ad allontanarsi da se stessi e a trattare il corpo (ma in fondo anche la psiche) come una macchina invece che come un "luogo" che racconta cose importanti di noi. Tutto questo non significa ovviamente che non bisogna ricorrere ai farmaci, ma che essi vanno usati solo quando è realmente necessario, e che questa reale necessità può essere stabilita solo dal medico.

Certo, ognuno di noi può avere sintomi conosciuti e transitori (ad esempio episodici mal di stomaco e mal di testa) che può affrontare da solo, ma sempre seguendo l'impostazione iniziale del medico e cercando di limitare l'uso dei farmaci.

Un piglio d'autore.
Cambiare atteggiamento significa prendersi cura di sè. Serve un nuovo stile di vita, un nuovo modo di viversi, più da autore e protagonista, che non da passivo esecutore di azioni. Forse servono anche relazioni più appaganti, passioni e interessi che vivificano il corpo e l'anima.  Ma serve anche un po' di umiltà, per comprendere che il nostro corpo non è muto, non deve esserlo, ma parla: non solo (per fortuna) con patologie serie, ma spesso con piccoli sintomi momentanei che ci rivelano esigenze, frustrazioni e voglie che non sappiamo di avere.

Imparare ad ascoltarle e a riconoscerne il messaggio è già una forma di terapia, che non esclude eventuali farmaci, ma li contestualizza in un atteggiamento di guarigione consapevole.

 

I SINTOMI LE AZIONI CHE TI CURANO
Problemi gastroenterici Mangia meglio, non accettare di subire ricatti emotivi
Cefalea tensiva Allenta l'autocontrollo, non giudicare cattive certe emozioni
Crisi d'ansia Dai più spazio a momenti di piacere: non c'è solo il dovere
Atteggiamento depressivo Impara a dire i "no" necessari, individua una passione
Disturbi del sonno Fai attività fisica, spenditi di più in cose che ti piacciono
Dolori Articolo-muscolari Non rimandare le decisioni: le vecchie questioni ti bloccano

(tratto da: Riza Psicosomatica n. 375 2012)

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